Oggi vi ripropongo un articolo del mio blog di qualche mese fa…parliamo di adolescenza dei rischi ma sopratutto delle sue opportunità!
“Aveva circa tre anni la prima volta che mi disse che voleva andarsene da casa. La trovai dopo un bel po’ di tempo … avevo cercato ovunque, sotto i letti, negli armadi, dietro alla tenda della doccia, nello sgabuzzino delle scarpe. La chiamavo, facendo finta di stare al suo gioco: – guarda che la mamma ora ti trova! Però, … sei brava, ti sei nascosta bene!
– Poi entrai nel panico. Non c’era! Sotto ai letti solo polvere, nulla fra gli abiti né dietro alle scatole di scarpe, oltre alla tenda della doccia solo piastrelle opache di calcare. Giulia non c’era, dissolta nel nulla, assieme al suo cuscino e al pigiama. Lanciai le ciabatte e mi infilai nel soprabito, con la testa che mi ronzava e il battito cardiaco talmente violento da rispondermi nelle orecchie. Borsa, cellulare, chiavi della macchina …
La trovai lì, appena fuori della porta, seduta sui gradini del pianerottolo, appoggiata al suo cuscino e con il pigiama di flanella ben piegato sulle ginocchia.
– Ciao mamma –
-… Tesoro … cosa stai facendo? Perché sei qui? –
– Voglio andare via da casa, mamma, e vivere da sola –
Aveva lo sguardo deciso mentre lo diceva, quasi adulto. Non riuscivo a frenare le lacrime.
– … e dove vorresti vivere, tesoro? –
– qui, sul pianerottolo. –
Poi, con il tempo, il pianerottolo venne sostituito dal giardino, e poi dai quartieri più lontani, finché un giorno prese un treno. Al pigiamino si aggiunsero lo zainetto e poi una valigia.
A scuola gli insegnanti mi hanno proposto un sostegno psicologico; ormai Giulia è grande e ne ho parlato con lei.
– La zia di Rebecca va dallo psicologo, ma la zia di Rebecca è matta. Io non sono matta – e se ne è andata un’altra volta, per più di tre ore.
In fondo ha ragione. Non posso mandarla da uno psicologo a 11 anni solo perché ha uno spirito hippie. Rebecca e Viola al pomeriggio vanno a danza, Ludovica a cavallo, Sonia a basket, Giorgio e Alberto a calcio. Persino Alice, che non ha alcuna propensione all’attività fisica, frequenta un corso di pittura.
– E tu, Giulia, oggi dove vai? Hai voglia di venire con noi? –
– No, mi spiace, non posso; ho lo strizzacervelli! –
No. Non posso farle questo. Si guarderebbe allo specchio e direbbe: “allora sono come la zia di Rebecca”, e forse anche i suoi compagni la crederebbero “come la zia di Rebecca”. E forse fuggirebbe per sempre, almeno da me.
E allora, eccomi qua.
Sono venuta io da lei, dottore.
Credo di essere io quella che ha bisogno di aiuto; infatti o sono io a sbagliare qualche cosa oppure sono l’unica cura possibile per mia figlia”!
Già, questa persona, della quale ho un po’ romanzato la storia, ha capito da sola, con l’istinto che solo una madre riesce ad avere, la giusta strada per non perdere sua figlia.
Scusate, ho sbagliato. Per una sorta di deformazione professionale ho usato il termine “paziente” quando in realtà quello giusto è “collaboratrice”.
Nel rapporto genitori/figli, il coinvolgimento emotivo e affettivo delle parti in causa è talmente elevato da non permettere una valutazione obbiettiva, e spesso si traduce in conflitto, disperazione, o comunque errore.
La nicchia ovattata della famiglia racchiude individui, che pur nel contesto del legame profondo, mantengono un’unicità; la sua crescita e la conseguente scoperta, nell’adolescenza, avvengono spesso in modo drastico, quasi violento. Ne nascono ribellioni e contrasti che, se da una parte aiutano e favoriscono il necessario distacco materiale e intellettuale, dall’altra rischiano di venire somatizzati e provocare lacerazioni che, invece di rimarginarsi, finiscono per incancrenire.
Al di là delle situazioni nelle quali sussiste alla radice un vero e proprio problema, come nel caso sopra esposto (e comunque risolto con successo e in tempi piuttosto brevi grazie alla “terapia indiretta”, se siete curiosi di conoscere la fine della storia), alzi la mano chi non ha, o ha avuto, problemi con la crescita e la gestione dei figli!
Facciamoci la nostra settimanale dose di cultura etimologica, strumento straordinario di comprensione.
Dal latino “adolescens” participio presente di “adolescere” composto da “ad” rafforzativo e “alere” nutrire = Che si sta nutrendo.
L’adolescente è quindi “colui che si sta nutrendo” e “adulto” – dal participio passato della stessa radice – è “colui che si è nutrito”.
Vedete come è semplice?
Questa immagine ci disegna due individui: uno che non ha concluso la propria formazione e uno che lo ha fatto.
In quest’ottica appare chiaro che l’azione deve, e sottolineo deve, partire da colui che ha concluso il proprio processo formativo. L’adulto possiede quella marcia in più, quella che gli permette di tracciare la strada.
La possiede, ma la usa?
Tu, la usi?
“Diamine, dottore! Quel tipo lì, che sta crescendo, che quasi stento a riconoscere, è MIO figlio, carne della mia carne, sangue del mio sangue! Fino a ieri mi teneva la mano, non dormiva senza il mio bacio della buonanotte, mi vedeva giovane e bellissima, ogni tre parole diceva “mamma”.
E ora? Ora mi sfugge, si nasconde da me, mi sbuffa in faccia, esce sbattendo la porta; passa oltre al suo piatto
preferito dicendo che ha già mangiato con gli amici. I suoi silenzi gettano una nebbia fitta fra di noi e le sue parole – poche – tagliano come lame.
Rivoglio indietro il mio bambino!”
Il bambino se ne sta andando, cara mamma.
Come una farfalla che esce dalla crisalide, lo strappo è violento, e neppure molto bello a vedersi per la verità, ma necessario, perché se restasse nel suo involucro ne morirebbe.
Tu, che già sei farfalla, hai il compito di accoglierlo nel mondo delle farfalle, che per natura volano e si librano libere nell’aria.
A te quello stadio primordiale piaceva. I bruchi si muovono lenti e non vanno lontani; le ali invece, per belle che siano, portano là dove non puoi più vedere, fra pericoli e predatori.
E allora l’adulto recede.
Da guida ti trasformi in ispettore, giudice, detective.
Quante volte hai annusato la cipria di tua figlia come se fossi l’unità cinofila della narcotici a un posto di blocco? E quante volte hai cercato – inutilmente perché nessun adolescente lo usa più– un diario segreto da divorare di nascosto come un film a luci rosse?
Prova a negare che hai frugato nello zaino alla ricerca di scontrini sospetti, come se lo spacciatore fuori scuola rilasciasse ricevuta fiscale, e appena ne hai trovato uno con il logo della farmacia, neppure ti è passato per la testa che quella povera ragazza magari abbia avuto mal di testa! No. Sicuramente ha acquistato preservativi, o un test di gravidanza, se non la pillola del giorno dopo.
Ed ecco che il fiuto dell’unità cinofila si rimette in azione: la bic scarica che spunta dal cassetto è una siringa, quel paio di chili di troppo, frutto di un eccesso di maritozzi a colazione, si trasformano in una gravidanza nascosta, attendi alle tre del mattino tuo figlio, con il cappello da polizia stradale e l’alcol-test in mano, il portapenne con il teschio denuncia la sua iniziazione a una setta satanica.
“…devo entrare in possesso di quel maledetto telefono. Lì si nasconde ogni segreto di quello che una volta era mio figlio!”
E tu, padre? Lo so che pensi di essere il vero emarginato nella faccenda. Il fatto è che pure per te non è facile. La mamma coltiva il bruco ma tu vedi minato il tuo ruolo di capobranco.
Di fronte hai o un nuovo uomo, il cui vigore giovanile rischia di far accelerare il tuo declino, oppure una nuova donna, donna a tutti gli effetti e con tutto quell’armamentario che tu, da uomo, ben sai essere l’oggetto degli istinti predatori del genere maschile “branco di zozzoni che guardano le ragazzine!”.
E pure per te questo è un boccone parecchio difficile da digerire.
Allora proviamo a mandarlo giù assieme, questo boccone indigesto!
Per prima cosa devi capire che a tuo figlio non serve né un detective né un giudice, ma piuttosto un semplice navigatore satellitare, un’App (che tanto ama) in cui inserire le coordinate di dove vuole andare senza sbagliare strada.
La “terapia indiretta” serve proprio a trasformarti da cane antidroga, o da ispettore dei NAS piuttosto che da capobranco in crisi di potere, in terapeuta “per procura”, passatemi il termine, restituendoti il ruolo di guida e tom tom.
Ricordati di non annusare troppo nella vita di tuo figlio, permettigli di scegliere il vento migliore, e che, come al solito, sia per entrambi un …buon vento!
Se vuoi approfondire la nostra conoscenza o comprendere insieme quali strategie per migliorare il tuo stile genitoriale chiamaci possiamo discuterne insieme.
Ricordati che il lavoro di équipe del nostro centro ti permette di contare su professionisti differenti, come logopedisti, psicologi, neuropsichiatri e altre figure specialistiche che ritaglieranno un percorso su misura per tuo figlio; non esiste infatti un abito che vesta uguale per tutti, ma bisogna personalizzarlo.
Contattaci per un primo colloquio gratuito e senza impegno!
Ti aspettiamo a Monterotondo (RM) in Via San Martino, 21.
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dott. Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Direttore del Centro APIS – Servizi di Riabilitazione dell’età Evolutiva Monterotondo