Oggi condivido con Voi un articolo uscito sul mio blog qualche tempo fa 😉
«Mamma, papà, sediamoci. Vi devo parlare.»
Ammettiamolo: è un momentaccio.
Peggio ancora se suona così:
«Mamma, papà. Sedetevi. Vi devo parlare.»
Cosa è cambiato? Grammaticalmente parlando, la persona del verbo della prima parte della frase: da “sediamoci” a “sedetevi”. Particolare non da poco!
Quando un figlio tira un profondo respiro e dice “Sedetevi” (ma anche “sediamoci”), il genitore entra automaticamente in modalità pre-catastrofe, codice giallo.
Appena poi arriva la seconda parte, “Vi devo parlare”, lo stato di pre-catastrofe si trasforma in vera e propria allerta, codice arancio, e il fatto che non arrivi la Protezione Civile in salotto è puro caso.
Nell’immaginario di una madre o di un padre, il binomio sedersi/parlare non prefigura nulla di buono.
Il motivo principale è dato dal fatto che le notizie buone, quelle piacevoli e “gloriose” che inducono al gongolamento, il figlio è abituato a sbandierarle ai quattro venti con una certa fanfara, e comunque sicuramente senza necessità di premesse.
“Vi devo parlare”. Ergo, c’è un problema.
“Sedetevi”. Ergo, o la faccenda è particolarmente lunga, oppure, com’è più probabile, punta diretta a minare la stabilità della gambe e a far vacillare la posizione eretta.
“Sediamoci”. Ergo, quantomeno siamo sullo stesso livello, occhi ad altezza occhi, orecchie ad altezza bocca, viso ad altezza viso, con conseguente maggior facilità nel cogliere espressioni e minimi movimenti facciali.
Il lasso di tempo che passa fra il pronunciamento della frase e l’atto del sedersi, è assimilabile a quegli attimi che, si dice, precedano la morte: uno spazio infinito ti attraversa la mente in un tempo infinitamente piccolo. È incredibile! Di solito ci mettiamo delle mezz’ore buone per elaborare un’idea, pure del cavolo, e ora riusciamo a formularne a decine, estremamente complesse e contorte, in un nanosecondo!
La vostra creatura è lì. Vi ha guardati, in modo un po’ sfuggente, senza fermare troppo lo sguardo sui vostri visi, per non coglierne l’ansioso interrogativo già carico di troppe risposte, e ha buttato la frase come si getta il dado in una roulette: “Vi devo parlare”.
È evidente lo sforzo che sta facendo.
L’aria della casa, delicatamente aromatizzata di deodorante, oppure densa dei profumi che arrivano dai fornelli, assume peso, preme sulle spalle e sulla schiena, soffoca la testa. Viene voglia di aprire una finestra, nell’attesa.
Quel “Vi devo parlare”, all’orecchio genitoriale suona di già come una confessione, prima ancora di sentire dire altro.
Ma perché un figlio dovrebbe voler parlare di qualcosa a quattro o sei occhi? In fondo è già da un pezzo che le vostre vite hanno preso due binari ben definiti, vicini magari, addirittura paralleli per qualcuno, ma comunque ben separati. Ed è giusto che sia così. Difficile da digerire, forse, almeno per qualcuno, ma indubbiamente giusto.
Che cosa significa quel “Vi devo parlare”?
Semplice: che ha bisogno di voi.
Un bisogno magari semplicemente materiale, oppure morale, o perché no, entrambi. Indipendentemente dal motivo che lo ha spinto a fare questo difficile passo, sta cercando di rificcarsi sotto alle coperte del lettone, come faceva nell’infanzia, alla domenica mattina o quando aveva la febbre. Ha bisogno della sua mamma e del suo papà, non di due genitori istituzionalmente eccellenti e impeccabili.
Ha bisogno di quel sorriso che non può trovare in nessun altro, né altrove che davanti a quel tavolo della cucina dove la sera ci si riunisce, oppure nel salotto, dove avete per anni guardato assieme la televisione. Ha bisogno di una mano dal calore noto che gli si posi sulla spalla. Ha bisogno della sua famiglia.
Ha bisogno di sentirsi forte, e chi più di una madre e un padre può donare la forza a mani basse?
Ha bisogno di approvazione. Ma non dell’approvazione del mondo. Magari quella già ce l’ha; ha bisogno della vostra approvazione, senza la quale nessun’altra sarà mai completa e godibile.
Sicuramente si tratta di qualcosa di molto importante, dal suo punto di vista almeno, e altrettanto sicuramente di qualcosa che gli fa temere la vostra reazione.
“Vi devo parlare”, mette in atto una serie di possibili scenari, tutti più o meno connessi agli spauracchi che da sempre turbano i sogni di madre e di padre. Situazioni temute e scongiurate, che hai sempre sperato di non dover affrontare.
- Avrà combinato qualcosa?
- Strettamente connesso al punto precedente: se è femmina, “sarà incinta?”, se è maschio, “avrà messo incinta qualche ragazza?”
- Avrà bisogno di soldi? E, nel caso, perché? Per cosa? Avrà mica problemi di droga?
- Avrà deciso di smettere di studiare?
- Non saprà come dirci che è gay?
Significa anche altre due fondamentali cose:
- è un atto di profonda fiducia nei vostri confronti;
- vi vuole bene e ha paura di farvi del male.
Pare poco?
Allora, a fronte di un “Sedetevi/sediamoci. Vi devo parlare”, basiamoci solo due semplicissime regole:
la regola numero 1, imprescindibile, sarà:
“Ti ascoltiamo”.
E la regola numero 2:
“Non ti deluderemo”
Attenzione però, perché non è così semplice.
Spesso l’azione di ascoltare è solo fasulla. Tanto l’ascoltare che il guardare sono infatti due arti non comuni, perché richiedono la capacità di fare una pulizia profonda e fulminea nella propria mente, attraverso orecchie e occhi. Ti rivelo inoltre che si tratta di arti ancora più rare, quasi inesistenti, fra i genitori.
In poche parole, non serve ascoltare se tanto si sente quello che il pensiero ha già elaborato di voler sentire, esattamente come non serve guardare quando la mente ha già elaborato immagini che si sovrappongono alle reali, occultandole.
E infine poniamoci una doverosa domanda:
quante volte ci siamo seduti ad ascoltarlo senza che ce lo dovesse chiedere?
Affronterò, nelle successive settimane, anche le possibili risposte alle domande “spauracchio” dei genitori, ma per il momento l’unica cosa che mi premeva era mettere l’accento sull’importanza dell’ascolto, del dialogo e della parola in ambito familiare. Semplici gesti che più spesso di quanto si creda racchiudono la soluzione a molti falsi problemi, e costituiscono un eccellente inizio per la cura di quelli seri, che possono prevedere anche l’aiuto della psicoterapia.
Buon vento
E ricordate:
a volte è più utile il saper ascoltare che il dare una risposta.
(… di chi è questa frase? Mia, originale, D.OC., made in Dott Psicologo Federico Piccirilli!)
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Psicologo, Psicoterapeuta
Direttore del Centro APIS – Servizi di Riabilitazione dell’età Evolutiva Monterotondo