Oggi condivido con voi un articolo uscito qualche tempo fa sul mio blog.
Sei un cretino: è un’etichetta che si affigge sulla persona, un vero e proprio giudizio di valore. Hai fatto una cretinata: è sempre un’etichetta, un giudizio di valore, ma su un comportamento.
Ergo: la prima è un giudizio su chi sei. La seconda su ciò che fai.
Vi ricordate quando i genitori per porre fine a pianti e capricci dicevano: “Se fai il bravo ti compro…” “Se fai la brava ti porto…”? Il problema non stava mai nelle promesse, spesso irrealizzabili, fatte solo per sedare i drammi esistenziali dei loro pargoli, quanto all’etichetta “bravo/a”.
Cosa significa precisamente essere bravi?
Spesso noi adulti con questa frase tentiamo di sorreggere la crescita dei nostri figli, infondendo loro fiducia in se stessi, ma spesso proprio questa frase, nata da una causa così amorevolmente nobile, si trasforma in un grande punto interrogativo.
Il comportamento è quello che facciamo ed è solitamente rivolto verso l’esterno. Invece la persona è la persona. Se metto in atto un comportamento posso fare qualcosa di giusto o sbagliato rispetto a una regola, e qualora facessi qualcosa di sbagliato potrei smettere di farlo, rimanendo comunque me stesso. Ma se invece io ricevo un giudizio di valore, cosa posso modificare? È un giudizio su di me, e non posso smettere di essere me.
La cosa assurda è che questa piccolissima frase, piena di buoni intenti, metterà in atto un circolo vizioso infinito, nel quale il bambino proverà comunque piacere per aver ricevuto questo “complimento” e, proprio a causa di questa piacevolezza, tenterà di rimettere in atto la possibilità di riceverlo di nuovo, ma si crea un enorme problema: Cosa dovrà fare per sentirsi dire di nuovo quella parola? Cosa ha fatto per essere bravo? Come si fa ad essere bravi per mamma e papà?
Il sonno della ragione genera mostri, per dirlo alla Goya, così come un “bravo” non spiegato ed affisso sul bambino genererà interpretazioni e tentativi di compiacere mamma e papà.
Non andrebbe liquidato con un “bravo!” un piccolo cucciolo d’uomo che ci mostra il suo disegno, sul quale, non avrà speso lo stesso tempo che spese Michelangelo per fare la Cappella Sistina, ma sicuramente avrà impiegato la stessa dedizione. Ragion per cui potremmo chiedergli di parlare del suo lavoro o dirgli che siamo contenti della sua riuscita, parole diverse dal semplice e sbrigativo “bravo”. E al contrario se invece compie un atteggiamento sbagliato non riduciamo il tutto al fatto che non è stato bravo, spieghiamogli perché il suo comportamento è sbagliato!
I bambini spesso impiegano tutta l’infanzia per imparare ad essere bravi, tralasciando la scoperta dei propri talenti e delle loro risorse, diversi da individuo a individuo. E quindi si ritrovano a diventare adulti bravi o, al contrario, ribelli all’essere dei “bravi ragazzi”. Buoni o cattivi, ma senza sapere perché.
Nessun bambino è bravo, nessuna bambina è brava. Lodare o “sgridare” è facile e spesso poco arricchente, partecipare emotivamente invece è impegnativo ma contribuisce a far sentire una persona importante, degna di attenzione.
Dare l’esempio è il miglior modo di educare, magari investendo il nostro tempo e le nostre parole con i nostri figli, avremmo meno probabilità di ritrovarci dopo qualche anno immersi nella conversazione più straziante dell’universo: “Com’è andata oggi a scuola?” “Bene” “E cosa avete fatto?” “Niente”. O forse no, forse questo è solo una delle grandi prove da superare per essere genitore, perché in fondo, come disse Madre Teresa, i figli sono come gli aquiloni: gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo. Gli insegnerai a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno. Gli insegnerai a vivere, ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto.
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Psicologo, Psicoterapeuta
Direttore del Centro APIS – Servizi di Riabilitazione dell’età Evolutiva Monterotondo